Periodicamente negli ultimi anni si parla di prostituzione e dei quartieri a luci rosse. Io credo che ognuno di noi possa disporre del proprio corpo come crede, senza però che sia consentito sminuirne la dignità. Ebbene il prostituirsi volontariamente e liberamente deve rientrare nella sfera privata di ognuno di noi, e deve essere confinato al rapporto tra due persone consenzienti le quali decidono di avere rapporti sessuali, uno paga e l’altro ci guadagna. Ovviamente chi non ha la voglia né la necessità di pagare per avere dei rapporti sessuali, magari anche perché lo ritiene immorale, allora non lo farà. Ma, essendo in un posto che si presume sia libero se c’è chi ritiene morale o preferibile pagare per avere prestazioni sessuali (pagando è inevitabilmente semplice) nulla dovrebbe ostare affinché ciò avvenga.
L’immoralità e l’illegalità non necessariamente coincidono nel nostro sistema penale ed è giusto che continuino a non coincidere. Ciò che occorre combattere non è la prostituzione in quanto immorale (tipico presupposto dei sistemi proibizionisti), ma lo sfruttamento della prostituzione, in quanto sfruttamento della persona, in quanto è qualcosa che non si differenzia dalla resa in schiavitù di un essere umano (cosa assolutamente trucida e barbara).
Prevedere che ognuno a casa propria fa ciò che vuole è ovvio, ma ciò che occorre disciplinare è, soprattutto l’aspetto sanitario e l’aspetto della libertà della prostituzione, evitando la schiavitù di persone maggiorenni e consenzienti. Quindi prevedere pene severissime per chi sfrutta e/o paga ragazze minorenni, per chi contravviene all’obbligo di controlli periodici di tutte le malattie sessualmente trasmissibili, e di conseguenza per chi si prostituisce essendo consapevole di avere malattie trasmissibili, oltre che ovviamente che per chi schiavizza le prostitute (presupposto tipico dei sistemi regolamentaristi). In alcuni Stati si concede regolare licenza di attività, in altri occorre solo segnalare residenza ed attività.
Un aspetto da non trascurare che deriva dal voler regolamentare il fenomeno prostituzione è quello dell’eventuale svalutazione della zona in cui ci sono le c.d. case chiuse. Certo la moralità delle persone può toccare punte di maggiore sensibilità ed intolleranza ed occorre certo tenerne conto. Prevedere i c.d. quartieri a luci rosse per ogni città, ha il vantaggio di concentrare il fenomeno solo in una zona, e chi è moralmente suscettibile è agevolato standone alla larga. Ovviamente lo Stato dovrebbe impegnarsi a creare questi quartieri in modo che non siano lande desolate prive di servizi con case che sembrano casermoni delle periferie più degradate, ma che abbiano un minimo di dignità anche se si voglia considerare queste zone come zone popolari e non come zone residenziali. Il rischio che si corre è proprio quello di creare zone di depressione e di isolamento. Inserire singoli posti in cui si può esercitare la prostituzione all’interno del contesto urbano ha il vantaggio di non deprimere una singola zona, magari dando spazio ad altri tipi di criminalità, ma magari ha lo svantaggio di urtare la sensibilità di alcune persone. Occorrerebbe, magari, disporre, in tali casi, alcune distanze obbligatorie dagli asili nido, solo per un esempio; magari prevedere che tali residenze non siano collocate su strade principali.
Credo che tale rimedio, disciplina della materia sotto il profilo sanitario e di tutela di chi si prostituisce liberamente, possa mettere in difficoltà tutta quella criminalità organizzata che sfrutta le prostitute come schiave, specialmente se si considera che molte sono disperate che vengono illegalmente in Italia pensando di avere una speranza di lavoro. Sotto il profilo della libertà della prostituzione due i metodi disponibili: o si proibisce il lenocinio, cioè il favoreggiamento della prostituzione, al fine di evitare che degeneri nello sfruttamento della prostituzione; oppure lo si regolamenta inserendo, per esempio, limiti temporali oppure limiti di lucro sul guadagno della prostituta, per cui chi gestisce più prostitute, per legge, non può chiedere più di un X %.
L’immoralità e l’illegalità non necessariamente coincidono nel nostro sistema penale ed è giusto che continuino a non coincidere. Ciò che occorre combattere non è la prostituzione in quanto immorale (tipico presupposto dei sistemi proibizionisti), ma lo sfruttamento della prostituzione, in quanto sfruttamento della persona, in quanto è qualcosa che non si differenzia dalla resa in schiavitù di un essere umano (cosa assolutamente trucida e barbara).
Prevedere che ognuno a casa propria fa ciò che vuole è ovvio, ma ciò che occorre disciplinare è, soprattutto l’aspetto sanitario e l’aspetto della libertà della prostituzione, evitando la schiavitù di persone maggiorenni e consenzienti. Quindi prevedere pene severissime per chi sfrutta e/o paga ragazze minorenni, per chi contravviene all’obbligo di controlli periodici di tutte le malattie sessualmente trasmissibili, e di conseguenza per chi si prostituisce essendo consapevole di avere malattie trasmissibili, oltre che ovviamente che per chi schiavizza le prostitute (presupposto tipico dei sistemi regolamentaristi). In alcuni Stati si concede regolare licenza di attività, in altri occorre solo segnalare residenza ed attività.
Un aspetto da non trascurare che deriva dal voler regolamentare il fenomeno prostituzione è quello dell’eventuale svalutazione della zona in cui ci sono le c.d. case chiuse. Certo la moralità delle persone può toccare punte di maggiore sensibilità ed intolleranza ed occorre certo tenerne conto. Prevedere i c.d. quartieri a luci rosse per ogni città, ha il vantaggio di concentrare il fenomeno solo in una zona, e chi è moralmente suscettibile è agevolato standone alla larga. Ovviamente lo Stato dovrebbe impegnarsi a creare questi quartieri in modo che non siano lande desolate prive di servizi con case che sembrano casermoni delle periferie più degradate, ma che abbiano un minimo di dignità anche se si voglia considerare queste zone come zone popolari e non come zone residenziali. Il rischio che si corre è proprio quello di creare zone di depressione e di isolamento. Inserire singoli posti in cui si può esercitare la prostituzione all’interno del contesto urbano ha il vantaggio di non deprimere una singola zona, magari dando spazio ad altri tipi di criminalità, ma magari ha lo svantaggio di urtare la sensibilità di alcune persone. Occorrerebbe, magari, disporre, in tali casi, alcune distanze obbligatorie dagli asili nido, solo per un esempio; magari prevedere che tali residenze non siano collocate su strade principali.
Credo che tale rimedio, disciplina della materia sotto il profilo sanitario e di tutela di chi si prostituisce liberamente, possa mettere in difficoltà tutta quella criminalità organizzata che sfrutta le prostitute come schiave, specialmente se si considera che molte sono disperate che vengono illegalmente in Italia pensando di avere una speranza di lavoro. Sotto il profilo della libertà della prostituzione due i metodi disponibili: o si proibisce il lenocinio, cioè il favoreggiamento della prostituzione, al fine di evitare che degeneri nello sfruttamento della prostituzione; oppure lo si regolamenta inserendo, per esempio, limiti temporali oppure limiti di lucro sul guadagno della prostituta, per cui chi gestisce più prostitute, per legge, non può chiedere più di un X %.
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