31 ott 2009

Se oltre all'indifferenza c'è la rassegnazione

Petru Birladeanu era un romeno innocente che suonava la filarmonica a Napoli che ha avuto la sola sfortuna di esser colto da un colpo di pistola vagante durante una sparatoria nel maggio scorso. All'epoca ebbi modo di scagliarmi contro l'indifferenza di chi - passando vicino al corpo agonizzante di Petru - ha avuto il tempo di obliterare il biglietto, di voltare le spalle ed andarsene, o di guardare assolutamente senza dire o fare nulla. In considerazione del fatto che in zona c'è un ospedale ed un commissariato, il mio sdegno era (è) ancora più forte.

Ieri è stato diffuso il video di un omicidio di camorra ai danni di Mariano Bacioterracino (effettuato l'11 maggio scorso) in pieno giorno. Sia il killer che il palo erano a volto scoperto, come hanno fatto vedere i TG nazionali. Ho notato da un lato meno indifferenza: "solo" la ragazza che è riuscita a passare due volte sul cadavere come se scavalcasse un banale ostacolo sul suo percorso. UN CADAVERE NON UNA MERDA!! Forse qualcuno dirà anche: "va beh è morto, ha ricevuto anche il colpo di grazia non si sarebbe potuto comunque salvare". Ad onor del vero questa volta ho visto nei più veramente il panico che ti porta a scappare durante la sparatoria (non a fare il biglietto).

Questa volta mi fa di più rabbia la rassegnazione delle persone intervistate. Tutte a dire: beh è così ogni giorno ... per la gente del quartiere è normale, chi non è di qua chi sa cosa si pensa. Cosa vuoi che penso, che conosco personalmente diverse persone del rione Sanità decisamente oneste e molto simpatiche che di sicuro non hanno nulla a che vedere con questo schifo e che soprattutto NON E' NORMALE PER NIENTE AMMAZZARE QUALCUNO, PEGGIO A SANGUE FREDDO.

30 ott 2009

Elogio del flusso di coscienza.

I poveri di spirito moriranno tristi dopo aver vissuto infelicemente; i poveri di intelligenza moriranno dementi dopo aver dato piena prova di loro in vita; i poveri in canna moriranno in silenzio senza che nessuno si sia curato di loro.

In un mondo talvolta ipocrita e finto buonista ci rimane una battuta, un commento sincero, benché a volte difficile da fare, da ricevere o da accettare. Per non pochi anche difficile da capire. Qualcuno molto disonesto mentalmente, che mai e poi mai avrà il coraggio di comprendere, anzi troverà il modo di fare ripicche. Ce ne sono, ce ne sono.

Star soli a volte aiuta e non è in sé una cosa negativa come pensano molti. Aiuta a raccontare a noi stessi ciò che desideriamo fare. Aiuta a ridere, a piangere ad incavolarsi senza che ci sia nessuno a giudicare o a consigliare - talvolta in cattiva fede - o a blaterare inutili frasi fatte male, fatte da altri e citate a sproposito da qualcuno con poche idee ma confusissime.

Se ognuno fosse il giudice naturale di se stesso sarebbe molto meglio, ma per molti è preferibile essere il moralizzatore altrui e spesso con la memoria corta e l’omino bianco che ripulisce costantemente la coscienza. Solita domanda: ma a chi ti riferisci? Solita risposta: a chi ha la coscienza sporca, perché chi ce l’ha pulita (non RIpulita) non si pone il problema.

22 ott 2009

Se su Facebook il fatto si fa serio.

Relativamente alle minacce ricevute da Silvio Berlusconi su un gruppo presente su Facebook, trovo vergognoso minacciare di morte qualcuno (indipendentemente se sia Berlusconi o meno, anche perché da quanto ho appreso informandomi on line, non è l'unico ad aver ricevuto questo tipo di minacce). C'è da vergognarsi, oltre che da temere penalmente, anche se non se ne condividono i modi, i toni e le opinioni di chi si minaccia, non è una scusante, e sicuramente non penso che siano fan club di Berlusconi quelli che inneggiano alla sua morte.

Analogamente trovo quanto meno di dubbio gusto esagerare, scherzare o provocare in tal senso (solo qualche giorno fa un {ex} dirigente del PD evocava molto infelicemente ques'ipotesi, e per fortuna è stato cacciato via a calci nel deretano).

Ferrero sul tema ad AffariItaliani.it dichiara: È una stupidaggine. È semplicemente una sciocchezza, dovuta al fatto che su Facebook, come sulla mail, si dicono delle cose che non si scriverebbero mai su un foglio di carta stampata. Veramente, è una stupidaggine. A mio parere non c'è alcun allarme. Siamo in un paese assolutamente non violento da questo punto di vista

Ferrero dimentica in modo estremamente colpevole alcune cose: lettere, mail e conversazioni personali rimangono private, quindi hanno una portata estremamente limitata, ma un gruppo su Facebook che raggiunge diverse migliaia di persone non ha una portata limitata, e quindi si può pretendere l'ovvio rispetto delle leggi italiane, e quindi certe cose si farebbe bene ad evitarle, chiunque sia il destinatario.

21 ott 2009

Non passa la mozione a Strasburgo.

Come promesso vi tengo informati: la mozione che era stata proposta sul tema del pluralismo e sulla libertà dei media in Italia ha ottenuto 335 voti favorevoli, 338 contrari e 13 astensioni. Nel testo si parlava di mezzi di comunicazione «sotto attacco»; della necessità di garantire il pluralismo dei media in Europa; della questione dei conflitti d'interesse e delle interferenze compiute dal governo italiano sui media nazionali e stranieri. Per i rappresentanti del centro destra in Europa si tratta di un attacco a Berlusconi. Evidentemente i 335 voti favorevoli sono anche loro tutti comunisti.


Di ieri era la notizia che l'Italia arretra relativamente alla classifica per la libertà di stampa (49° su 157); del maggio scorso la notizia che anche l'associazione Freedom of Press ci cataloga tra i paesi semi liberi (73° su 195).

Post correlati sul tema della Libertà di Stampa su Pensare è Gratis
03/05/2009
Notizie del giorno

06/07/2009
La Carta Europea per la Libertà di Stampa

20/10/2009
Classifica per la libertà di stampa

20 ott 2009

Classifica per la libertà di stampa


 
L'Italia è al 49° posto per la libertà di stampa secondo la classifica stilata da Reporters Sans Frontières (eravamo 35° nel 2007 e 44° nel 2008). Questa è la notizia del giorno.


Per stabilire la classifica Reporters Sans Frontieres ha preparato un questionario di 40 domande, inviate alle organizzazioni partners di Reporters Sans Frontieres (sicuramente questa organizzazione sarà un'organizzazione di comunisti).


Un commento, per concludere, di Jean Francois Julliard (presidente di Reporters Sans Frontieres):


Questionario proposto da Report Sans Frontieres
Nota metodologica



13 ott 2009

La tendenza del PD all'autodistruzione.

Lo scorso 04 ottobre ho detto che il PD era il partito democraticamente rassegnato: ma anche il partito democraticamente complicato. Motivo per cui difficilmente il PD potrà raggiungere la vocazione maggioritaria tanto auspicata (potranno avvenire i miracoli?).

Riepiloghiamo l'accaduto: sono imminenti le primare del PD, e potrebbe essere decisamente interessante vedere sulle televisioni nazionali un duello che potrebbe anche essere anche molto interessante, e con un po' d'impegno e fare un figurone rispetto allo spettacolo che ultimamente si gode e quindi far giungere a milioni di persone un'immagine positiva (per il partito), di metodi nuovi. Peraltro le offerte non sono certo mancate, quindi occorreva solo approfittarne.
 
Tutto troppo semplice per il Politburo Disastrato che grazie alla triade Franceschini-Bersani-Marino ha pensato bene di proporre veti incrociati su come-dove-quando puntare le telecamere, su chi dovesse condurre l'incontro e così via. Alla fine hanno deciso di concedersi a Youdem-TV per pochi fedelissimi - che appunto sono fedelissimi - che sanno del duello e che sanno dove vederlo - che appunto sono pochi. Questa tendenza mi sembra decisamente autolesionista. Potrei capire l'avversione per il popolo di internet - ma non la capisco nè la tollero visti gli esempi contrari e vincenti di Obama negli USA e di Deborah Serrachiani e di Sonia Alfano qui in Italia - ma questi errori grossolani anche relativamente alla televisione li attribuisco ad una tendenza alla complicazione assolutamente irritante.

12 ott 2009

L’imperio del politicamente corretto.

Quello del politicamente corretto è un atteggiamento trasversale, tocca diverse punte e tutti i ceti sociali senza differenze: è quell’atteggiamento che permette impunemente di confinare negli ambiti più periferici e dimenticati della propria coscienza, e della conoscenza altrui,  la sincerità.

Il politicamente corretto non osa dire la verità così com'è, ma dice ciò che vuoi sentirti dire, cavalca - quindi - le frasi fatte migliori (raccolte in un apposito annuario sempre aggiornato), specifica sempre che non giudica, e che non vorrebbe permettersi, ma si permette anche troppo. Si spaccia per sincero, essendo solo un abile manipolatore della realtà: non dice il falso, ma omette la verità.

Il politicamente corretto ha la solenne abilità di effettuare molte critiche, ma con talmente poca fantasia ed argomentazioni da criticare agli altri ciò che fa egli stesso. Elementi più socialmente evoluti, riescono poi con debiti paroloni messi in rigoroso casaccio a tenere discorsi anche apprezzati da persone le quali - tuttavia - non hanno capito esattamente il resto di niente, o che senza volere smentiscono ciò che hanno apprezzato poc’anzi.

La sostanziale vigliaccheria ed incoerenza che contraddistingue i politically correct fa sì che la colpa ricade sempre e comunque sugli altri, mai su di sé, le fulgide dichiarazioni di principio rimangono da parti, quando per interesse vengono contraddette; sono intoccabili quando servono a giustificare le proprie azioni.

Qualcuno potrebbe offendersi se al posto di operatore ecologico si dicesse spazzino; sordo al posto di audioleso; cieco al posto di non vedente. Proprio il volersi sforzare costantemente di non voler offendere chi è diverso - o per qualche motivo più debole? - da noi  è offensivo.

Scomporsi, arrabbiarsi, dir qualcosa a costo di sbagliare od offendere è segno di coraggio; chiedere scusa e riconoscere (sinceramente) i propri errori è segno di umiltà, non certo di politically correct. Dir qualcosa di giusto in un modo sbagliato è riduttivo; dire il nulla con un'ottima forma è una ricca presa per i fondelli.

10 ott 2009

Evoluzioni del caso dell'omicidio di Petru Birlandeanu

Riepilogo della situazione.
Petru Birlandeanu era un suonatore ambulante di fisarmoniche, ed è stato ucciso il 26 maggio 2009 alla stazione della Cumana (adiacente alla stazione della funicolare) di Montesanto. La sua morte è avvenuta in seguito ad un raid senza che lui avesse commesso alcunché se non trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato: cioè sulla traiettoria dei colpi al momento del raid.

Evoluzione degli eventi.
Il 09 ottobre scorso hanno arrestato a Malaga i presunti assassini di Petru che lì erano latitanti. Già ho segnalato l'omertà dei cittadini cosiddetti onesti e che si vantano di essere tali ma non hanno il coraggio di intervenire quando hanno sparato a Petru Birlandeanu nemmeno per chiamare un'ambulanza (ricordo che c'è un ospedale a 100 metri dal luogo dell'omicidio); nessuno di questi ha minimamente mostrato neanche un minimo di pietà - in senso positivo - verso un moribondo: la dimostrazione è nel video che inchioda chi passava di là. Indifferenza totale. Nessuno dei (molti) passanti (sempre gente di comprovata onestà e coraggio) s'è degnato di dire una parola di testimonianza. Mentre i vicoli che gli assassini pensavano di comandare li hanno traditi, visto che le testimonianze provengono dai circuiti criminali degli indagati.

I post di Pensare è gratis sul caso di Petru Birlandeanu.


Articoli della stampa sul tema

8 ott 2009

Lodo Alfano incostituzionale & caso Mills-Berlusconi.

Come sapete sicuramente, ieri la Corte Costituzionale ha dichiarato il Lodo Alfano in conflitto con l’articolo 3 e con l’articolo 138 della Costituzione. Questo vuol dire che si è violato il principio di uguaglianza e che sarebbe necessario cambiare la Costituzione, che per fortuna è una cosa non facilissima e men che mai rapida, per inserire il lodo Alfano (ex Lodo Schifani). Il principale pensiero va al processo Mills che adesso ripartirà anche nei confronti di Silvio Berlusconi.


Ne approfitto per fare una parentesi e per rimandarvi alla rinnovata sezione Approfonditamente: qualche mese fa è nata con una veste diversa ma dall'idea ancora attuale di sapere cosa dicono all'estero di noi sui temi più importanti, dato anche che quando si parla di Berlusconi non potranno essere sempre e comunque tutti comunisti-complottisti-anti italiani. Letterman che ha massacrato Bush per otto anni di mandato non è stato mai una volta indicato come antiamericano. Adesso ho sviluppato meglio l'idea anche graficamente, e la sezione - che dovrà essere ampliata - si estenderà anche ad altri temi (non solo Silvio). Tutto questo anche sulla scorta del fatto che ogni giornalista che non sia in cattiva fede ha un suo stile e può mettere in luce un aspetto trascurato da altri. Confrontare una rassegna stampa di diverse notizie è solo utile. Si accettano segnalazioni di stampa rigorosamente estera su argomenti già pubblicati o che vorreste fossero pubblicati di temi che riguardano prevalentemente l'Italia o comunque di grande interesse generale (all'interno della sezione trovate le indicazioni necessarie).


Chiusa parentesi, ritorniamo al caso Mills. Ho iniziato la sezione di cui sopra proprio dal caso Mills perché è stato ed è tornato di stretta attualità. A volerlo analizzare (ricordo che siamo ancora in primo grado) volendosi formare un’idea esclusivamente dalla stampa estera, emergono i seguenti elementi prevalenti:

1) Jessa Tewell - moglie di David Mills ed ex ministro del Governo Blair - secondo alcuni analisti politici inglesi sarebbe stata danneggiata politicamente in patria dallo scandalo del marito in Italia, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano che proprio nel paese che governa è direttamente coinvolto in un processo per corruzione, continua a governare impunemente senza che abbia alcun tipo di problematica politica.

2) Tale situazione crea - o dovrebbe creare - un tale imbarazzo da portare a dimissioni immediate ed incondizionate, solo che in Italia non succede.

3) Sia i pochi mezzi di comunicazione che non appartengono a Silvio Berlusconi, sia la gran parte dell’opposizione politica e civile è incapace di contrastare validamente Silvio Berlusconi e questo è un vantaggio per lui.

Di seguito alcuni stralci degli articoli sul caso Mills-Berlusconi che trovate in versione integrale nella sezione:
Tomasz Bielecki - Gazeta Wyborcza - 18/02/2009
L’ombra dell’affare Mills e di altre accuse di corruzione non disturbano i sostenitori di Berlusconi, che o credono nel complotto dei giudici di sinistra o – forse più spesso – ritengono la corruzione un’abilità pregevole, senza la quale sarebbe difficile rimanere nel mondo degli affari italiano.

Eric Arends - corrispondente da Roma del de Volkskrant - 20/02/2009.
Temo di essermi lasciato guidare troppo dall’andamento delle cose che caratterizza una normale democrazia. L’ho scritto perché in una democrazia è consueto che in casi di questo genere il premier finisca ”in grande imbarazzo” – persino qualora una legge lo protegga da procedimenti giudiziari. In una normale democrazia la gente ne parlerebbe scandalizzata. I giornalisti metterebbero il premier in seria difficoltà con domande scottanti, se il ministro non si fosse già dimesso di propria volontà.


In Italia questo genere di ovvie reazioni è inverosimile. L’ANSA ha rimosso dal suo sito internet la notizia della condanna di Mills già la sera stessa. Il telegiornale del primo canale italiano ha riportato la notizia solo dopo 19 minuti. L’argomento è durato esattamente un minuto. Il notiziario dell’emittente di Berlusconi “Rete 4″ ha completamente ignorato il tema.

Peter Propham - Corrispondente da Milano del The Indipendent - 23/02/2009
Grazie alla prescrizione è improbabile che il piccolo problema milanese di David Mills si trasformi in tempo trascorso in prigione. Ha molti amici potenti a Londra, e si sta probabilmente ridendo del processo a qualche cena a Islington mentre sto scrivendo. Ma la connivenza con la perfidia italiana di un uomo così vicino alla vetta del partito laburista è moralmente oltraggiosa.

Eric Arends - Corrispondente da Roma del de Volkskrant - 28/03/2009
L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigrati illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario).

Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi.

Ringrazio il blogger L'informatico che mi ha aiutato a risolvere un problema relativo alla visibilità del blog. Mi scuso con tutti coloro che hanno sofferto il problema.

4 ott 2009

Partito Democraticamente Rassegnato.

Per quanto possa sembrare una banalità il compito dell’opposizione è di opporsi, come sembra suggerire la stessa parola. Andiamo più a fondo: l’opposizione può anche proporre di modificare una proposta della maggioranza e non opporsi tout court: potremmo definirla dialettica, collaborazione, democrazia senza necessariamente arrivare a dire no e basta.

Quello che tuttavia vedo nel PD e nella gran parte della sinistra è la rassegnazione. La mozione di sfiducia contro Berlusconi non fu appoggiata dal PD perché in ogni caso sarebbe stata bocciata. Napolitano ha firmato il testo sullo scudo fiscale perché avrebbero rivotato lo stesso testo e Mr. President avrebbe dovuto firmarlo obbligatoriamente.

È giusto. Se avessero riapprovato lo stesso testo Napolitano avrebbe dovuto firmare obbligatoriamente, ma mandare un segnale non sarebbe una cosa sbagliata: il segnale che forse la strada non è completamente spianata, il segnale che c‘è qualche ostacolo. Non sarebbe stata una cattiva idea. Nel PDL cantano meno male che Silvio c’è. Ma forse vorrebbero cantare meno male che il PD c'è. Forse è troppo anche per loro. E comunque sia nel bene o nel male Silvio c’è. E con lui tutta la maggioranza compatta: quand’erano loro all’opposizione nessuno mollava la presa - specialmente con una maggioranza risicata - e diverse volte le leggi non passavano.

Il Partito Democraticamente Rassegnato vivacchia all’insegna dell’adda passà a nuttat’ quando sono all’opposizione; e del per rispetto non infieriamo sul nostro avversario e dialoghiamo, quando sono al governo. Di modo che quando Silvio c’è al Governo ha la strada pressoché spianata; quando Silvio c’è all’opposizione dialoga e magari la spunta pure dato che ci sa fare e dato che i suoi non mollano mai.

Detto questo i nomi dei deputati del PD assenti quando è stato approvato il testo sul cosiddetto scudo fiscale sono noti e sono note le motivazioni. Chissà forse Napolitano ha previsto pure le assenze recidive.

3 ott 2009

Sciopero dei giornalisti

Oggi finalmente è il giorno dello sciopero indetto dalla FNSI e a cui hanno aderito molteplici associazioni (in calce al post le associazioni aderenti).

Rispetto a quanto detto da me tre settimane fa, aggiungo (e vi segnalo) un'iniziativa sostenuta European Alternatives che si propone di portare una risoluzione all’assemblea plenaria del Parlamento Europeo per condannare l’infrangimento della libertà e pluralismo dei media in Italia con la possibilità di sanzioni nei confronti dell'Italia nel caso fossero accertate violazioni.

La discussione si terrà l'08 ottobre 2009 al Parlamento Europeo. Vi terrò informato.

NOTA BENE
Aderiscono alla manifestazione di oggi a Roma:
Articolo 21, CGIL, IDV, Sinistra e Libertà, PD, PRC, ARCI, ANPI, ACLI, Libertà e Giustiza, ANAC, SAI - Sindacato attori italiano - SLC CGIL, ApTI- Associazione per il Teatro Italiano e molte associazioni civiche e culturali, UCSI -Unione Cattolica Stampa Italiana, ActionAid, AMREF, Save the Children, Terre des hommes, VIS, WWF e World Vision

Sostengono la campagna presso il Parlamento europeo:
Rosario Crocetta (S&D, Italy), Sonia Alfano (ALDE, Italy), Luigi de Magistris (ALDE, Italy), Sylvie Guillaume (S&D, France), Sarah Ludford (ALDE, UK), Gianluca Susta (S&D, Italy) Gianni Vattimo (ALDE, Italy), Judith Sargentini (Greens, Netherlands), Isabelle Durant (Greens, Belgium), Bart Staes (Greens, Belgium), Eva Lichtenberger (Greens, Austria), Pascal Canfin (Greens, France), Jan Philipp Albrecht (Greens, Germany), Hélène Flautre (Greens, France).

1 ott 2009

La lettera di dimissioni di De Magistris dalla Magistratura.

Al Sig. Presidente della Repubblica
Piazza del Quirinale ROMA

Signor Presidente, scrivo questa lettera a Lei soprattutto nella Sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. È una lettera che non avrei mai voluto scrivere. È uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute della democrazia nella nostra amata Italia.

È una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’Ordine Giudiziario.

Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione. Sebbene l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene, io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che avevo sognato fin dal momento in cui mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura ce l’ho nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per diventare uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto immaginare destinata a un epilogo così buio. È cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche con umiltà ed equilibrio, la missione della mia vita professionale, come in modo spregiativo la definì il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti davanti al Csm. Per me, esercitare le funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana significava tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che sale dai cittadini in nome dei quali la Giustizia viene amministrata. Quei cittadini che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, signor Presidente, che è il custode della Costituzione, ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso.

I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che ho deciso di sventolare anch’io l’agenda rossa di Borsellino, portata in piazza con immensa dignità dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita debba dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo, anche a costo della vita. Per questo decisi di assumere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato: la Calabria. Una terra da cui, in genere, i magistrati forestieri scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece avevo deciso (ingenuamente) di restare.

Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40, lavorando mai meno di dodici ore al giorno, spesso anche di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto: rifarei tutto, con le stesse energie e il medesimo entusiasmo.

In questi anni difficili, ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, un gruppo di validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta, però, si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla de-legittimazione del mio lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, ma il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dalla stessa magistratura. Signor Presidente, a Lei non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e colleghi , revoche e avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle inchieste.

Ho condotto indagini nei settori più disparati, ma solo quando mi occupavo di reati contro la Pubblica amministrazione diventavo un cattivo magistrato.

Posso dire con orgoglio che il mio lavoro a Catanzaro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni, come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La polizia giudiziaria lavorava con sacrifici enormi, perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti. Le persone informate dei fatti testimoniavano e offrivano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile, in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, senza insabbiamenti di quelle contro i poteri forti (come invece troppe volte accade). Questo modo di lavorare, il popolo calabrese – piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrandoci sostegno e solidarietà. Non è poco, signor Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato stesse funzionando lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tant’è vero che si sono subito affinate nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana. Non so se Ella, Signor Presidente, condivide la mia analisi. Ma a me pare che - dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese nel 1993 - le mafie hanno preso a istituzionalizzarsi. Hanno deciso di penetrare diffusamente nella cosa pubblica, nell’economia, nella finanza. Sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano una parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica e nelle Istituzioni a tutti i livelli, nazionali e territoriali. Nemmeno la magistratura e le forze dell’ordine sono rimaste impermeabili. Si è creata un’autentica emergenza democratica, da sconfiggere in Italia e in Europa.

Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali, ma piegano le loro funzioni a interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto. Non mi dilungo oltre, perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto.

Ebbene oggi, Signor Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato: si creerebbero nuovi martiri; magari, ai funerali di Stato, il popolo prenderebbe di nuovo a calci e sputi i simulacri del regime; l’Europa ci metterebbe sotto tutela. Non vale la pena rischiare, anzi non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.

Che ci vuole del resto, signor Presidente, per trasferire un magistrato perbene, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, o per imbavagliare un giornalista che racconta i fatti? È tutto molto semplice, quasi banale. Ordinaria amministrazione.

Per allontanare i servitori dello Stato e del bene pubblico, bisogna prima isolarli, delegittimarli, diffamarli, calunniarli. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato. La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria, mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine con ogni mezzo.

Quello che si è realizzato negli anni in Calabria sul piano investigativo è rimasto ignoto, in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva di farlo conoscere all’esterno. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando però le vicende sono cominciate a uscire dal territorio calabrese, l’azione di sabotaggio si è fatta ancor più violenta e repentina. Invece dello sbarco degli Alleati, c’è stato quello della borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, restituiva fiducia nelle Istituzioni, svelava i legami tra mafia “militare” e colletti bianchi, smascherava il saccheggio di denaro pubblico perpetrate da politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni a danno della stragrande maggioranza della popolazione, scoperchiava un mercato del lavoro piegato a interessi illeciti, squadernava il controllo del voto e, quindi, l’inquinamento e la confisca della democrazia.

Sono cose che non si possono far conoscere, signor Presidente. Altrimenti poi il popolo prende coscienza, capisce come si fanno affari sulla pelle dei più deboli, dissente e magari innesca quella democrazia partecipativa che spaventa il sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di coscienza e conoscenza poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale. Lei, signor Presidente, dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM - le attività messe in atto ai miei danni. Mi auguro che abbia assunto le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge e alla Costituzione. Avrà potuto così notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, professionisti, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Tutto ciò non era tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale. Come poteva un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il proprio mandato onestamente applicando la Costituzione? Signor Presidente, Lei - come altri esponenti delle Istituzioni - è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, allora, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in un Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell’imparzialità dei pubblici poteri. Poi ho visto in volto, pagando il prezzo più amaro, l’ingiustizia senza fine.

Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere, come poi ha sancito l’Autorità Giudiziaria competente. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva e ha capito quel che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me l’ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare. Un affetto che costituisce per me un’inesauribile risorsa aurea.

Ho denunciato fatti gravissimi all’Autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa ancora una volta era sgradita al potere. E allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e ingiusto: la lezione impartita al sottoscritto non era stata sufficiente. La logica di regime del “colpirne uno per educarne cento” usata nei miei confronti non bastava ancora a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un altro segnale forte, proveniente dalle massime Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato, signor Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi e indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettono in pericolo il sistema criminale di potere su cui si regge, in parte, il nostro Paese.

Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno “antropologicamente diverso”, come nel mio caso – ha adottato nei confronti di insigni personaggi calabresi provvedimenti non graditi a quei poteri che avevano agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, ha fatto filtrare il messaggio perverso che era in atto una “lite fra Procure”, una guerra per bande. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata, fra magistrati di Salerno e Catanzaro. C’era invece semplicemente, come capirebbe anche mio figlio di 5 anni, una Procura che indagava, ai sensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale, su magistrati di un altro distretto. E questi, per ostacolare le indagini, hanno a loro volta indagato i colleghi che indagavano su di loro, e me quale loro istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difende dalla ricerca della verità, tentando di nascondersi dietro lo schermo di una legalità solo apparente.

Questa menzogna è servita a buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di Pm) tre magistrati di Salerno, uno dei quali lasciato addirittura senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro e inequivocabile: non deve accadere più, basta, capito?! Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire, senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato. Signor Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato di dosso la toga che avevo indossato con amore profondo. E il fatto che non mi sia stato più consentito di esercitare il mestiere stupendo di Pubblico ministero mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria. Un’azione inaccettabile come quella che ho subìto può strapparmi le amate funzioni, può spegnere il sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non può piegare la mia dignità, nè ledere la mia schiena dritta, nè scalfire il mio entusiasmo, nè corrodere la mia passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese. Nell’animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.

Nella Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, accompagnato dalla medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del nuovo percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce.

È per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’Ordine giudiziario, dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico. Lo faccio con un ulteriore impegno: quello di fare in modo che ciò che è successo a me non accada mai più a nessuno e che tanti giovani indossino la toga non con la mentalità burocratica e conformista magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.

Luigi de Magistris Roma, 28 settembre 2009
Take a look.
classifiche

Backlinks su Pensare è gratis.

StatsCrop