Facebook compie dieci anni. Zuckerberg lo creò nel lontano 2004 e sembra ieri.
Colgo al volo l'occasione per parlare di alcune cose su cui rifletto (e in alcuni casi) studio da un po' ma che nel profluvio di celebrazioni on line non ho letto da nessuna parte.
Colgo al volo l'occasione per parlare di alcune cose su cui rifletto (e in alcuni casi) studio da un po' ma che nel profluvio di celebrazioni on line non ho letto da nessuna parte.
Zuckerberg |
Senza contare che, purtroppo, in pratica troppo spesso accade che anche un bambino può accedere al social senza che vi sia alcun controllo effettivo sul fatto che egli abbia inserito dati fittizi pur di esserci.
Molto esplicito è quello che scrivono sul blog di What's App i due fondatori Brian Acton e Jan Koum il 18 giugno 2012 in un post intitolato «Perché non vendiamo pubblicità»:
«... lavoravamo giorno e notte per vendere pubblicità, perché era quello che faceva Yahoo. Raccoglieva dati, serviva pagine e vendeva pubblicità.
Abbiamo visto Yahoo farsi eclissare in dimensioni e portata da Google (…) un venditore di pubblicità più efficiente e più redditizio. Sapevano cosa stavate cercando, e quindi riuscivano a raccogliere i vostri dati in modo più efficace al fine di vendere pubblicità migliori.
Oggigiorno le aziende sanno letteralmente tutto su di voi, sui vostri amici, sui vostri interessi, e si servono di queste informazioni per vendere pubblicità.
(…) In ogni azienda che vende pubblicità, una porzione significativa del team ingegneristico trascorre la giornata perfezionando i sistemi di estrazione dati, scrivendo codici più accurati per raccogliere i vostri dati personali, aggiornando i server che contengono tutti i dati e verificando che tutto sia registrato, riunito, suddiviso, confezionato e spedito… Il risultato? Un banner pubblicitario leggermente diverso, più mirato, nei vostri browser o sugli schermi dei vostri cellulari.
Ricordate: quando si parla di pubblicità, il prodotto siete voi, gli utenti».
Si parla, quindi, di direct marketing. Appare in tutta la sua evidenza su Facebook, ma è un meccanismo che vale anche in generale nella Rete. Chi accede a Facebook, dunque, vedrà comparire sul proprio profilo alcuni banner pubblicitari mirati, magari relativi a qualche prodotto visionato in precedenza on line, e ciò grazie ai cookies che non sono nient'altro che registrazioni di dati attinenti alle nostre interazioni on line.
È il motivo per cui Facebook non sarà a pagamento se non in una parte dei suoi contenuti (quelli sponsorizzati o una parte dei giochi cui nel frattempo ti sei affezionato). Il miliardo ed oltre di utenti iscritti a Facebook con i rispettivi dati inseriti sono manna dal cielo per gli inserzionisti che possono tranquillamente profilare gli utenti per razionalizzare ed organizzare la pubblicità abbattendo i costi. Gli utenti pagano in informazioni
La falsa considerazione di amicizia è un altro problema. Facebook definisce come «amico» ogni persona contattata ed «aggiunta» sminuendone il senso, riducendo questo nobile quanto complesso sentimento, al cliccare sul pulsante «invia richiesta di amicizia» e/o «accetta richiesta di amicizia». Solo in un secondo momento, operando sulle diverse impostazioni della privacy, sia generali sia status per status, il social consente di effettuare una distinzione tra amici e conoscenti, o di organizzare in liste i propri «amici», o di impostare restrizioni alla pivacy qualora non si volesse rendere partecipe qualcuno di ciò che si condivide sul social. In tal modo, dunque, si consente di limitare la visibilità dei contenuti postati all'interno o del social adoperando gli strumenti che lo stesso social mette a disposizione dell'utente.
Un problema che, poi, in tempi recenti ha tenuto banco è quello di rendere pubblici a tutti i profili dei ragazzi dai 13 ai 17 anni. L'intenzione è di togliere l’anonimato ai bulli sul computer e di scoraggiarli. E di permettere ai genitori di conoscere la vita virtuale del proprio figlio. In pratica i minori, una volta iscritti potranno decidere di scrivere post pubblici, cioè visibili a chiunque. Con un pop up che apparirà avvertendoli di cosa significhi rendere pubblico il proprio post.
Credo che al posto del termine «amici» li si potrebbe considerare semplicemente come «contatti», al fine di dare un immediatezza profondamente diversa. Considerare una persona come amica, per me, fa sì che di questa persona ci si possa fidare, implicando con ciò che questa persona farà buon uso delle informazioni di cui noi la renderemo partecipe. Anche se personali e magari meritevoli di essere condivise con estrema parsimonia. Ne consegue che abbasseremo la guardia nei suoi confronti, e potremmo riporre la nostra fiducia in cattive mani.
Specie se, oltre a riporre la nostra fiducia, riponiamo immagini senza veli in foto mandate via cellulare (tramite MMS) o – peggio – tramite le chat, le email, i blog o i social network. Il sexting cioè. La Rete, specie per il tramite di Facebook, presenta una sorta di cassa di risonanza molto forte che amplifica sia le potenzialità informative e conoscitive, quanto le conseguenze dei rischi).
La digitalizzazione della fotografia, e l'avvento dei social, ha fatto sì che le immagini amatoriali possano circolare molto più facilmente, contribuendo in modo esponenziale alla perdita di controllo della propria immagine. Inoltre possono essere manipolate molto più semplicemente, senza necessità di programmi né complessi né costosi (senza contare che anche la maggior parte delle attuali fotocamere ha un prezzo fortemente accessibile, laddove non sono integrate in cellulari anche loro dal prezzo per lo più ugualmente accessibile).
Ciò che spesse volte si trascura - e spesso lo trascurano i minori - è che nel momento stesso in cui perde il controllo diretto della foto - e sulla Rete sicuramente la perdita di tale controllo è maggiormente accentuata - le conseguenze che gli si potrebbero porre innanzi non solo sono gravi, ma spesso sono anche non immediate. E la non immediatezza delle conseguenze accentua la pericolosità di un comportamento, rendendo di più difficile individuazione il pericolo.
Quindi, occhio a ciò che condividete.
La digitalizzazione della fotografia, e l'avvento dei social, ha fatto sì che le immagini amatoriali possano circolare molto più facilmente, contribuendo in modo esponenziale alla perdita di controllo della propria immagine. Inoltre possono essere manipolate molto più semplicemente, senza necessità di programmi né complessi né costosi (senza contare che anche la maggior parte delle attuali fotocamere ha un prezzo fortemente accessibile, laddove non sono integrate in cellulari anche loro dal prezzo per lo più ugualmente accessibile).
Ciò che spesse volte si trascura - e spesso lo trascurano i minori - è che nel momento stesso in cui perde il controllo diretto della foto - e sulla Rete sicuramente la perdita di tale controllo è maggiormente accentuata - le conseguenze che gli si potrebbero porre innanzi non solo sono gravi, ma spesso sono anche non immediate. E la non immediatezza delle conseguenze accentua la pericolosità di un comportamento, rendendo di più difficile individuazione il pericolo.
Quindi, occhio a ciò che condividete.
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